
Veduta d’insieme dall’esterno dell’edicola
COMPIANTO SU CRISTO MORTO NELLA CHIESA DELL’OSSERVANZA A IMOLA: I PIAGNONI
di Loredana Di Marzio
Associazione Culturale San Macario
20 marzo 2013 – Sala BCC – Imola
Il “Compianto su Cristo morto” dell’Osservanza a Imola è composto da sette statue in terracotta, più il Cristo: Giuseppe d’Arimatea (inginocchiato), Nicodemo, San Giovanni, la Madonna, le tre Marie (Maria di Magdala, Maria di Cleofa e l’altra Maria).
Il termine compianto si riferisce alla scena immediatamente successiva alla deposizione dalla croce, in cui alcune figure piangono attorno al Cristo morto, steso al suolo o su un blocco di pietra, o, talvolta, sopra una sorta di altare.
Si tratta di una immagine di carattere narrativo, da distinguere dalla pietà che rappresenta l’aspetto devozionale del tema e solitamente mostra la sola Vergine con il corpo di Cristo.
Talvolta entrano nella composizione anche gli angioletti, come ad esempio nell’opera di Ludovico Carracci conservata a Capodimonte.
Se compaiono solo gli angioletti a sorreggere il corpo di Cristo morto, allora normalmente il titolo è “Cristo sorretto dagli angeli“, come nell’opera di Antonello da Messina.
Inoltre è anche da distinguere dal tema della “Deposizione dalla croce“, in cui compaiono gli stessi personaggi del compianto, ma mostrati nell’azione di far scendere il corpo di Cristo morto dalla croce, come ad esempio nell’opera di Rosso Fiorentino della Pinacoteca di Volterra.

L’antica chiesa di San Bernardo, oggi negozio
Tornando alle nostre sculture, esse sono cronologicamente collocabili attorno alla fine del XV secolo e stilisticamente attribuibili all’ambito culturale emiliano romagnolo. Lo storico imolese Rezio Buscaroli, negli Atti per Imola Storico Artistica del 1944, ci dice che il gruppo scultoreo ha ancora carattere quattrocentesco ma forse è stato eseguito nei primi anni del ‘500.
Il Compianto su Cristo morto dell’Osservanza in origine aveva un’altra collocazione, infatti apparteneva alla chiesa di San Bernardo, ovvero alla chiesa il cui edificio in piazza delle Erbe a Imola è oggi occupato da un negozio di abiti.
Alcuni documenti, che descrivono la chiesa antica nel 1573-74, ci parlano di un “sepolcro della deposizione di Nostro Signore Gesù Cristo“, che, specialmente nella settimana santa, era oggetto di grande devozione dei fedeli. Quando nel 1620 fu terminata la nuova chiesa, nel lato destro, vi era un altare dedicato alla resurrezione di Cristo, sopra al quale era stata ricavata una nicchia con un’inferriata apribile in cui era ricostruita la deposizione nel sepolcro con “statue dipinte al naturale“, cioè con incarnati e abiti colorati e ad “altezza d’uomo“, che solitamente erano tenute coperte da un telo che veniva rimosso nella Settimana Santa.
La chiesa di San Bernardo fu officiata fino al 1808, anno in cui venne chiusa e poi acquistata da Giovanni Fantini e nell’edificio sconsacrato fu aperta una pubblica pescheria il 3 marzo 1877. Dal 1974 l’edificio restaurato ospita un emporio commerciale.
In seguito alla soppressione della chiesa di San Bernardo per la riduzione napoleonica delle parrocchie, le statue furono portate nella chiesa dell’Osservanza, e sempre il Buscaroli ci riferisce che “nel trasporto andò in frantumi il Cristo, rifatto da mano grossolana“. Del Cristo originario sarebbe rimasta la testa, allora conservata in una nicchia in sacrestia, e più recentemente all’interno del convento.
Il complesso dell’Osservanza era sorto per volontà di Taddeo Manfredi e di sua moglie, signori di Imola, che accordarono ai Frati Minori un terreno extramuros, fuori da P
orta Montanara: tra il 1466 e il 1470 sorse il convento, mentre tra il 1467 e il 1468 cominciarono i lavori alla chiesa in cui fu possibile officiare la prima funzione religiosa nel 1472.
Le statue furono poste in una edicoletta (chiamata Sepolcro) all’altezza della facciata della chiesa, lungo il muro di cinta del convento, che prolungava quello della chiesa, inglobando l’area in cui attualmente è situato il giardinetto.
Alcune cartoline dell’inizio del XX secolo, conservate negli archivi della Biblioteca Comunale di Imola, ci mostrano il complesso dell’Osservanza con l’aspetto appena descritto, mentre un’altra, datata 1940, e un’altra ancora, senza data ma di poco precedente (gli alberi del giardinetto sono un po’ più bassi) raffigurano il complesso conventuale, con il muro e l’edicola simile nella forma esterna arretrati, e il giardinetto antistante. Quasi sicuramente la cartolina più antica fu fatta in occasione della costruzione dell’area verde, lavoro che molto probabilmente risale al 1935, in quanto questo è anche l’anno che, in numeri romani, compare sulla attuale edicola (A. D. MCMXXXV). 
Padre Serafino Gaddoni ci dice che proprio nel 1808 fu costruita “una specie di grotta” per le statue, per opera di padre Giacinto Cerchiari da Imola, e attribuisce quella del Gesù morto ai Graziani di Faenza. Il Gaddoni ci parla, inoltre, di statue policrome che manifestano negli atteggiamenti e nel volto il loro profondo dolore.
Possiamo vedere le statue del compianto imolese, nella loro prima collocazione all’Osservanza, in una fotografia del 1933 conservata nella Biblioteca Comunale, che è in bianco e nero, ma dalla quale si capisce che le sculture erano dipinte. Il fondo dell’interno dell’edicola, con un paesaggio di case ed alberi, secondo il Milani, sarebbe stato dipinto da Giacomo Zampa. Anche Antonio Meloni, nella sua opera “Memorie delli pittori, scultori ed architetti della città, e diocesi di Imola” del 1834, dice che Giacomo Zampa dipinse “li ornati…del Santo Sepolcro fuori della chiesa”, e poi anche la sacrestia e il refettorio dello stesso convento.
E’ chiaro che ben diverse dalle precedenti appaiono ora la disposizione delle statue e la decorazione interna della celletta. Di questo ci parla il Buscaroli in uno scritto del 1944, non approvando la decorazione troppo pesante a sassoni dipinti, e riferendo che le statue erano “dipinte a vivaci colori, certo per abbellimento arbitrario della fine del Seicento o del Settecento“. Sembra che con i lavori per la nuova sistemazione (quella attuale) siano stai tolti “spietatamente” i colori e anche la “patina del tempo“. 
Da questa fotografia si può sapere la diversa disposizione delle statue: in primo piano erano Giuseppe d’Arimatea (a destra, nella stessa posizione) e Nicodemo (a sinistra); al centro vi era il Cristo deposto, con il capo a sinistra di chi guarda (ora è a destra); il braccio destro abbandonato verso terra (come nelle pietà) e il busto leggermente torto verso destra; il lenzuolo con il panneggio più ricco; poi più dietro, da sinistra, una Maria (probabilmente la Maddalena), San Giovanni, la Madonna e le altre Marie.
Una riflessione particolare merita la statua di Cristo che, se oggi è molto diversa da quella del 1933, è invece del tutto simile al Cristo di una stampa del ‘700, in cui la composizione delle statue è come l’attuale.
La statua di Cristo si era rotta nel 1805 e perciò era stata rifatta (come nella fotografia del 1933), ma probabilmente si ruppe ancora nel secondo trasloco delle sttaue nel 1935. Questa ipotesi sarebbe sostenuta dall’attribuzione che alcuni contemporanei fanno al Meluzzi della statua che vediamo oggi.
Con lo spostamento del 1935 debbono essersi rotte anche le altre statue, poiché con il restauro del 1999 si è potuto constatare che erano in uno stato di degrado molto avanzato, con enormi stuccature in cemento, che volevano celare i dislivelli formatisi tra i pezzi male assemblati, deformando il modellato che, invece, è di buona fattura. 
E’ stato proprio il restauro l’occasione per approfondire la storia del compianto imolese e capire quanto le vicissitudini avessero influito sul suo stato di conservazione.
Il restauro è stato di tipo conservativo, e non radicale, perché le statue erano state murate al pavimento della celletta e anche riempite di cemento, probabilmente per renderle più solide, dato che avevano numerose fratture oltre ai “naturali” tagli di cottura.
Con la pulitura sono emerse tracce di colori blu, verse e rosso, nelle pieghe e nelle zone del modellato più profonde, in cui nel precedente intervento non erano riusciti ad arrivare. Sono state trovate anche piccole tracce di oro su una preparazione gialla, nei bordi dei vestiti della Madonna e di una Maria. Non possiamo stabilire se siano colori originari o ridipinture (come sosteneva il Buscaroli), date le dimensioni molto ridotte dei frammenti trovati, però possiamo dire con certezza che erano statue molto ricche e raffinate.
Le grosse stuccature in cemento, che falsavano la lettura dell’opera, in particolare nel Giuseppe d’Arimatea, sono state rimosse, per quanto possibile, o ridotte di dimensioni, e poi velate con un colore neutro. 
Il restauro è stato eseguito in loco, poiché si è ritenuto che lo spostamento delle statue sarebbe stato oltremodo dannoso, date le loro condizioni già molto precarie, e troppo costoso rispetto al budget disponibile.
Però, tolte polvere e superfetazioni apposte nel tempo, le sculture hanno riacquistato maggiore turgore nelle vesti e drammaticità dei volti, con la luce che si riflette sulle superfici esaltandone le forme.
Guardiamo un po’ da vicino le sculture di questo compianto: ho privilegiato alcuni volti, perché rendono con forza i sentimenti di dolore e disperazione che dominano la scena, sottolineati dai gesti.
San Giuseppe d’Arimatea è inginocchiato a destra della scena, e ha raccolto i chiodi della croce (ne ha uno nella mano sinistra) mentre fissato in cintura ha un grosso paio di tenaglie, che gli sono servite per schiodare mani e piedi del Cristo.
Una Maria sta in piedi con gli occhi chiusi e con il volto semicoperto dal velo dell’abito, quasi a voler nascondere il dolore, che però trapela dalla contrattura delle sopracciglia.
Maria, madre di Gesù, sembra voler dire qualcosa, e quasi incredula con lo sguardo basso, rivolto al figlio che giace disteso, mostra la tensione del momento con
l’arricciatura delle sopracciglia. La punzonatura lungo il bordo del velo denota una fattura raffinata ed impreziosisce il tessuto.
Vicino alla Madonna c’è San Giovanni, il discepolo più caro a Gesù, a cui Egli aveva affidato la Madre, che sembra voler andare ad abbracciare Maria, con un gesto quasi timido, come se fosse consapevole della difficoltà di poter portare consolazione in un momento come quello. E’ l’unico che sembra gridare, o comunque esprimersi a voce alta. La fronte aggrottata esprime tragicità. Nella foto molto ravvicinata si può cogliere la drammaticità dell’espressione, ottenuta scavando l’argilla sotto gli occhi, increspando fino in mezzo alla fronte le sopracciglia, modellando gli occhi sgranati e, appiattendo gli zigomi, rendendo il viso emaciato per la sofferenza causata dagli avvenimenti.
Poi vi è Nicodemo, forse il più composto tra tutti i personaggi del gruppo, a cui il turbante conferisce solennità e saggezza. Molto dettagliata è l’anatomia del viso nelle piccole rughe attorno agli occhi e in quelle più profonde della fronte che, come lo sguardo rivolto verso il basso, tradiscono anche in lui il dolore.
Possiamo fare ancora qualche osservazione sul fondo dipinto del sepolcro nel “Compianto su Cristo morto” imolese: grossi sassi sono dipinti nella volta e nelle pareti della grotta, e non incontrarono l’approvazione del Buscaroli che li definì “vistosi sassoni, imminenti e penduli“, che non hanno alcuna logica e che stanno su solo perché sono dipinti. Definisce questo fondo di “sgarbato verismo“, inadatto a racchiudere le statue così belle, il cui sfondo avrebbe dovuto essere più neutro. Qualche riga più giù il Buscaroli suggerisce anche come rimediare, facendo uno sfondo “d’intonaco leggermente arricciato e spugnoso“, con tinta sfumata.
Sono invece veri i sassi intorno all’apertura posteriore della grotta, da cui si vede la parete di fondo della celletta, su cui è stato dipinto il monte Calvario con le croci,
a cui è ancora appoggiata la scala usata per la deposizione. Il Calvario sullo sfondo è un elemento iconografico diffuso nelle opere che raffigurano la deposizione, o anche le pietà, come possiamo vedere nella deposizione nel sepolcro di Raffaello o nella pietà di Cosmè Tura, in cui le croci altissime, quasi paradossali, incombono sulla testa della Madonna.
Diverso era lo sfondo della grotta nella precedente collocazione del compianto imolese, in cui Giacomo Zampa aveva raffigurato un paesaggio con alberi e cielo nuvoloso, a enfatizzare la tristezza dell’avvenimento.
Il “Compianto su Cristo morto” dell’Osservanza di Imola è stato così recuperato per i pellegrini e gli appassionati d’arte, ma soprattutto per gli imolesi che, ancora per molto tempo, potranno chiamarli affettuosamente “Piagnoni“.
C’è stato quindi un tentativo di recupero e valorizzazione di questa opera d’arte, che con grande merito fa parte di una produzione artistica molto diffusa in Emilia Romagna ma non solo, e che ha nel Compianto di Nicolò Dell’Arca in Santa Maria della Vita a Bologna l’espressione più alta, tanto che i critici lo considerano l’archetipo di questo genere.
Anche questa opera, nel corso dei secoli ha subito spostamenti e rimaneggiamenti, ma il restauro del 1984, con lo studio degli sguardi, degli angoli di visuale delle parti modellate, delle dimensioni e degli ingombri, ha consentito di valutare l’ipotesi di disposizione delle statue più verosimilmente uguale a quella originaria.
Restando più vicino a noi possiamo osservare il Compianto della chiesa di San Francesco di Paola a Lugo: il modellato delle sculture risulta molto sommario, privo di dettagli anatomici curati e il colore contribuisce a mascherare questa non eccezionale qualità della scultura. 
Vorrei però farvi notare come il San Giuseppe d’Arimatea, che qui è a sinistra, abbia la stessa fisionomia, con testa calva e barba, del Compianto di Imola. Inoltre gli abiti degli altri personaggi sono simili nella foggia, con la sottile pieghettatura.
Non vi è però il movimento “vero” che anima le statue bolognesi, e qui i gesti sono più che altro scenografici, e non introspettivi.
Guardiamo anche il Compianto nella chiesa di Caspano, un paesino in provincia di Sondrio. Il Compianto è un’opera del primo Cinquecento realizzata nella bottega di Alvise e Luigi De Donati. I colori sono molto vivi perché eseguiti con velatura di pigmenti e cera. 
Lo schema compositivo è completamente diverso dal “Compianto su Cristo morto” imolese: la Maddalena a destra sorregge i piedi del Cristo morto, e la tragicità è espressa più che altro dalla figura della Madonna, caratterizzata dal velo blu, che si prostra sul corpo del Figlio, mentre i personaggi maschili in piedi, un po’ statici, sembrano attendere lo sviluppo degli avvenimenti.
Un altro interessante è il Compianto di Gergei, in Sardegna, in provincia di Nuoro. 
Esso è collocato in una nicchia sopra un altare nella chiesa parrocchiale di san Vito Martire, che però sembra non essere la collocazione originaria, al momento sconosciuta.
Ritengo che sia un esempio interessante perché ci riporta alla collocazione originaria del del Compianto imolese nella chiesa di San Bernardo, entro una nicchia con l’inferriata apribile sopra l’altare dedicato alla resurrezione di Cristo.
Il gruppo scultoreo risale al XVI secolo. L’espressione generale è di un attonito e contenuto dolore. La composizione quasi simmetrica si sviluppa lungo la linea orizzontale del corpo di Cristo, e iconograficamente le statue si rifanno a modelli quattrocenteschi.
Stilisticamente sono riconducibili all’ambito iberico, o meglio catalano, del XV e XVI secolo, riconoscibile nelle decorazioni e nelle estese dorature degli abiti, di gusto orientale. La posa del Cristo è però del tutto simile a quella del Compianto imolese, sdraiato con le braccia incrociate sul petto. 
Dietro la composizione domina la croce, con il lenzuolo per la sepoltura, e tutto il fondo è occupato da un cielo blu pieno di stelle, con il sole e la luna, due elementi ricorrenti nelle crocifissioni medievali, che sopravvissero fino al primo rinascimento, ma molto rari in seguito. Una spiegazione della loro presenza in questo Compianto potrebbe essere che i Vangeli dicono che il giorno della morte di Cristo si fece buio fino alle tre di pomeriggio )convivenza di sole – a destra di Cristo – e di luna – a sinistra), mentre per Sant’Agostino il sole e la luna rivelano il rapporto di prefigurazione che unisce i due Testamenti: l’Antico )luna) si poteva comprendere soltanto alla luce del Nuovo (sole).
Sicuramente i Compianti sono esempi di devozione popolare, oltre che opere d’arte, e ciò è sufficiente a giustificare l’enorme diffusione che la produzione di questo genere con un’iconografia predeterminata ebbe per molto tempo e in un territorio molto vasto, oltre i confini regionali e culturali.
Tornando al Compianto di Imola vorrei porre l’attenzione sull’importanza religiosa che esso ha avuto fin dall’origine.
La già citata stampa settecentesca riporta due iscrizioni: una sottostante l’immagine che recita “SEPOLCRO DI
NOSTRO SIGNORE GESU’ CRISTO CHE SI VENERA PRESSO LA CHIESA DELL’OSSERVANZA D’IMOLA. CHI VISITA L’ORIGINALE ACQUISTA TUTTE LE INDULGENZE COME SE VISITASSE IL SANTO SEPOLCRO DI GERUSALEMME” ; le scritte a destra, invece, forniscono le informazioni di come fu data una delle indulgenze. Infatti si legge: “Questa misura del S. Piede della Vergine Maria Madre di Dio, cavato da(ll)a scarpa della stessa, che s(i con)serva in cd Monastero di Saragozza in Spagna. —- Papa Gio XXII concesse anni 200 di Indulgenze a chi bacerà tre volte con dire tre volte l’Ave Maria alla benedetta misura e sarà libero da molti mali. —- Confermati da Papa Clemente VIII l’anno 1604 dalla quale misura se ne sono cavate dell’a(ltre) per divo(zione). —-Si dispensano da PP. Cappuccini.“
In effetti anche Padre Serafino Gaddoni nell’opera “I frati minori di Imola”, parlando del Sepolcro dell’Osservanza, fatto erigere da Padre Giacinto Cerchiari da Imola nel 1808, dice che “all’inaugurazione venne arricchito di molte indulgenze”, e vi tenne un discorso proprio padre Giacinto Cerchiari “con gran concorso di popolo”.
La storia e le vicende particolari ci fanno capire la fortuna che ebbe sempre il “Compianto su Cristo morto” imolese, quindi credo che oggi sia doveroso e soprattutto interessante conoscerlo e valorizzarlo, per rispetto del passato e investimento nel futuro, sia dal punto di vista culturale che religioso.